

massaro patrizio
Il ritiro amaro dell’anima
Ebbi l’occasione di conoscere Patrizio Massaro e la sua Arte all’intorno del 1975; ne rimasi impressionato, abbacinato, entusiasta. Mi passarono dinanzi, durante tutto un pomeriggio, i suoi quadri, di quando frequentava l’Accademia di Firenze e di Brera e poi degli anni successivi al suo ritorno a Firenze, le sue esperienze ed esperimenti pittorici, i tentennamenti giovanili nel trovare una propria voce; i ritratti, le figure, i paesaggi dapprima dai toni ombrosi e dai colori severi successivamente composti di ariosa luce e di punti, le macchie che rompono come urlo o scoppio di bomba le ordinate, squillanti variegature di colore puro o di candidi bianchi, vidi il progressivo abbandono dei contenuti figurativi,
E, giorni dopo, gli ultimi (di allora) suoi quadri e disegni, pregni di rigore razionale anche se inquietanti: i colori avevano conquistato nuovi spazi, ordinati geometricamente ma tali da suggerire sempre fantastici giochi prospettici ed inaspettate profondità, con rapporti a prima vista ingenui però, a ben guardare, capaci di rompere l’insieme in tanti quadri incastrati fra loro… La pittura diventa Metafisica, diventa epistemologia morale, diventa specchio di come è la vita.
Anche un altro modo di esprimersi aveva trovato Patrizio, più complesso anche se più semplice; aveva fatto occupare ai colori spazi che si intersecano in onde, come onde incessanti del mare, in un’immagine di figura-sfondo reciprocamente intercambiabile, il quadro a fissare un frammento, un minuscolo frammento di quell’immenso mare, coloratissimo… E, seppure negli scorsi anni ha trascurato il «quadro», non ha cessato di produrre e di creare.
Le sue ultime fatiche sono «interventi» (su riproduzioni d’arte, su fogli di catalogo, su banali messaggi pubblicitari, copertine di libri, involucri di cartone) intesi a rafforzare o di spiccare piani prospettici, ad evidenziare luci e drammi, a promuovere talora fantasiosi sarcasmi con scritti di parole anch’esse trasformate e rivestite di nuovi significati, con allitterazioni argute e, a tratti, dolorose…
Questo l’ultimo Massaro, più scarno, più «suo» in una tensione morale ed estetica frutto di affannosi tormenti nel ritiro amaro della sua anima, e, magari, più difficile a comprendere. Per goderlo si deve mettere da parte luoghi comuni, abitudini visive, paradigmi estetici per adattarsi alla sua sensibilità, alle sue doti. Che sono grandi, immense.
Giuseppe Giannoni (1986)
Il 31 gennaio 1994 moriva all’età di 49 anni, Patrizio Massaro. Artista e docente dall’animo tormentato e sensibile, era nato a Turi nel 1945; studiò presso l’Istituto d’Arte di Bari, poi l’Accademia di Belle Arti di Firenze con Primo Conti e l’Accademia milanese di Brera con Domenico Cantatore; insegnò presso l’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze.
Il 14 gennaio del 1995, il Circolo Unione, l’Amministrazione comunale e la Pro Loco gli conferirono, alla memoria, il ‘Premio Turi’. Un’occasione, quest’ultima, celebrata con l’impegno solenne di dare all’estro creativo del concittadino Massaro, con altre iniziative, il giusto riconoscimento, qui nella sua Turi. Poi invece l’oblio.
Artista introverso, difficile, sempre in lotta con un mondo dove non riusciva proprio ad essere a suo agio. Amici, quelli veri, pochi, anzi pochissimi. A Turi, dove trovò rifugio dal 1984 dopo il lungo soggiorno fiorentino, Patrizio Massaro ebbe come approdi sicuri la madre Giulia, amatissima, la famiglia e gli amici Rino Valerio, Giovanni Maiuro ( tratto dal “Paese” di G. Lerede).
Nella Chiesa di S Giovanni Battista ad Empoli, si può ammirare di lui il Cristo ed altre figure religiose.
Le sue opere sono sparse in casa di amici e conoscenti; sarebbe cosa giusta raccoglierle in un catalogo fotografico per conservare di Patrizio un doveroso ricordo. Quanti possono segnalarne l’ubicazione contribuiranno a questa iniziativa.
Patrizio vive a Firenze
Quando l’estate ritorna
mi saluta con due occhi grandi e buoni,
mi fa vedere i suoi lavori:
leggo così i suoi sogni.
Lo tormenta un pensiero lo divora.
La mamma ci sorprende coi biscotti
e il bicchierino di sambuca.
Noi continuiamo a leggerci nel fumo,
delle sigarette, a parlarci.
Mario, piccolo cucciolo, guaisce,
ci tira all’aria aperta.
di Rino Valerio
