
Simeone Maggiolini, classe 1931, figlio di Vincenzo e di Crescenza Busco, è un personaggio noto nel mio paese e non solo; la figura di Simeone si associa spesso alla DC turese e all’on. Aldo Moro: militante democristiano da giovanissimo, ha avuto la fortuna di essere divenuto amico prima dello statista e poi della sua famiglia. Durante le feste natalizie, mi ha mostrato alcune foto di famiglia e il suo album di matrimonio, realizzato dal fotografo Guglielmi di Castellana; nel mentre, così commentava:
abitavo in via Martinelli 8, appartenevo ad una famiglia umile; mia sorella Filomena da giovane badava ai fratelli mentre frequentava la scuola di cucito di Crescenza Losacco e di taglio da Carmelina Gagliardi; mio fratello Vitantonio, dopo la quinta, lavorava presso il pastificio di Vincenzo Rossi ( già muratore) in via vecchia Rutigliano, accanto al molino di Pasqualino, quando era mugnaio Vincenzo Squicciarini.
Mentre scorro le immagini in bianco & nero, gli pongo domande e lui, come mosso da desiderio di raccontare, mi parla d’allora:
Era l’anno 1956, l’anno della “neve forte”, (A) facevo il bidello ad un Istituto scolastico di Noci, quando mi innamorai di una ragazza, Stellina; questa frequentava la famiglia della sarta Maria Resta, moglie di Giovanni Maiuro custode del palazzo della marchesa Hustedt Coronati Venusio.
In piazza Cap. Colapietro, dove, nella sua farmacia, Peppino Pastina “cazzève i pinele“, Cesario Pugliese “tenève” la bottega di falegname e Nicola Borrelli, 5 &9, ”tenève la pettèche di bicicliette“ v ‘era la casa di Stellina, figlia di Leonardo Catucci e di Caterina Carenza; gli faceva la corte, ma la famiglia di lei non era d’accordo. Simeone, una sera di marzo dell’anno successivo, si decise di “chiedere la mano” ai genitori della ragazza; seguì subito dopo la visita dei suoi genitori e dopo un mese la”riconoscenza” alla presenza di altri parenti stretti; in quella occasione fu offerta la dote della futura sposa (“i panne” ) e furono scambiati i doni: collana e orecchini e bracciale per lei e anello per lui. Dopo il fidanzamento, il promesso sposo poteva offrire alla sua amata saluti fuggevoli e serenate romantiche e uscire con lei solo accompagnata dalla madre e parenti di lei. Prima del matrimonio chiese e ottenne, con strappo alla regola, di uscire in piazza da sola con lei .
Le nozze furono stabilite dopo “l’annéte” ( la raccolta dei frutti), il 25 settembre 1957. Il matrimonio fu particolare per quei tempi: si usava che lo sposo arrivasse in chiesa al braccio della “commara di braccio” e la sposa al braccio del “compare di braccio”; Simeone, invece, venne meno alla consuetudine: attese in chiesa la sposa, che giunse a piedi a braccetto prima del padre, seguita da amici e parenti e poi del “compare”; la Chiesa era Santa Chiara vicino alla casa della sposa, di fronte al negozio di stoffe di Gino Ferrante; il rito fu celebrato da tre sacerdoti, don Vitantonio Pugliese, don Peppino Contento e Domenico Giannini; i compari furono il dott. Domenico Tinelli e la moglie Brindicci Angela (Nella); testimoni particolari l’on. Raffaele Resta, Rettore dell’Univ. di Bari e Vito Giannini, preside di Noci; l’on. Moro fu invitato, ma, impegnato come Ministro per l’inaugurazione della Fiera del Levante, raggiunse gli sposi il pomeriggio.
La sposa indossava un abito in pizzo confezionato da Ninetta Squicciarini a Bari, che si trasferì, poi, a Milano per seguire il marito musicista.
Gli sposi fecero un giro in macchina per il paese ; passarono sotto l’arco di Porta Nuova e da “rète u campanèle” (sconsigliato per scaramanzia); erano seguiti da un corteo di auto guidate da Santuccio De Grisantis, da Nico Pagliarulo, da Emanuele Gentile “u betendèse”, dall’autista del Rettore e da quello di Moro; fu uno spettacolo per quei tempi.
I festeggiamenti si svolsero nella Sala Giuseppina in via maggior Orlandi, messa a disposizione da Michele Chimienti, direttore del dazio a largo San Giovanni ; le sedie furono portate da fuori, e sistemate tre file a destra per i parenti di lui e tre file a sinistra per quelli della sposa; al centro il tavolo con gli sposi e i compari di braccio; la musica era prodotta da un gruppo musicale di Gioia del Colle, diretto dal maestro Vinella di Putignano con “Ciccille” Gentile al contrabbasso; Giovanni Maiuro , detto Rondinella, si esibì con alcuni motivi musicali; i dolci furono confezionati da Ninetta Dragone, la più gettonata dolciaria di Turi e famosa per la faldacchea (1) ; i panini erano del panificio Tinelli e imbottiti di mortadella comprata a Bari, il vino fu acquistato dall’azienda Giuliani Vito Donato in damigiane portate la mattina con la ”trainétte”; ” u quartine” (gelato) era del bar Lefemine Giovanni. Dopo essersi cambiati d’abito e aver offerta la bomboniera ai compari, gli sposi furono accompagnati da questi alla stazione di Bari, per partire per la Madonna di Pompei. Da Pompei in treno raggiunsero Roma dove furono ospiti della famiglia Moro.
Simeone e Stellina sono ancora insieme; hanno due figli e due nipoti e hanno già festeggiato le nozze d’oro con viaggio organizzato in Terra Santa
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(1)Ninetta Dragone è nota a Turi per la faldacchea e per l’arte dolciaria, che aveva imparata dalla ”Monacacedda” mamma di Antonio Zita, che abitava in via Martinelli.
la Faldacchea” o boccone di dama è un tipico dolce turese, fatto con pasta di mandorle cotte, zucchero e amarene sciroppate e pan di spagna; è tradizionalmente ricoperto da giuleppe, sostituito oggi da cioccolato bianco.
La sua storia nasce nella cucina della foresteria del soppresso Monastero delle Clarisse di Cassano; le Apostole si dedicavano alle famiglie povere e alla conduzione di un laboratorio per giovanette; tra queste una giovane turese, Mariantonia, che tornando a Turi fu nominata “monacacèdde” (piccola monaca) e insegnò ad altre l’arte pasticciera che aveva imparato nel convento.
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Nel 2004 da Edizioni Vivere in, Roma, Simeone fa pubblicare “ Sulle orme di un uomo”.

Un agile libretto che si legge alla svelta e raccoglie l’esperienza politica di S. Maggiolini a Turi, in provincia di Bari, ove tuttora dirige un Centro studi intitolato ad Aldo Moro, suo maestro di vita. Sulle “orme di un uomo” rappresenta, quasi in una successione di quadri a chiare tinte, arricchiti da numerosi particolari l’esperienza umana dell’autore rivissuta attraverso i ricordi dell’infanzia durante il periodo fascista, la conoscenza del professor Aldo Moro negli ambienti universitari e di partito, i primi approcci alla politica nelle file della Democrazia cristiana e l’impegno nell’amministrazione del Comune di Turi. Si è di fronte ad una testimonianza di vita del tutto personale, che trasuda sentimenti di sincera amicizia, gratitudine e stima nei confronti di Moro, vissuti saldamente anche quando le vicende politiche generali e del partito potevano scalfirli o attenuarne l’intensità. Credo di non esagerare se, in conclusione, mi pare di poter dire che il libro è un genuino gesto d’amore nei confronti dello statista la cui frequentazione è stata considerata dall’autore un privilegio. (Walter Montini)
