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Peripateti a TARANTO

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Domenica 23 Febbraio
Il Club di Territorio di Taranto in collaborazione con Taranto Turistica hanno presentano una innovativa passeggiata fra i viali alberati di Villa Peripato, proprio come facevano Archita e gli altri filosofo peripatetici. Una passeggiata per raccontare la storia di Taranto, dalle origini ai giorni nostri, riappropriandoci di uno spazio comune.

Dopo i saluti di benvenuto del Console di Taranto Angelo D’Andria ad folto gruppo di partecipanti,  è iniziato il giro, condotto dall’archeologa e scrittrice Silvia Quero e la guida turistica Lavinia D’Andria, che hanno catturato l’attenzione dei convenuti nel raccontare non solo la storia e l’archeologia, ma anche leggende, aneddoti e delizie della società tarantina nel corso dei secoli.

Illuminati da un sole primaverile, lento pede, siamo stati incantati dalle due voci femminili che ci hanno tratteggiato alcuni particolari della Taranto spartana, romana e ottocentesca.

La Villa comunale Peripato di Taranto occupa un sito che domina il Mar Piccolo.  L’area, dall’estensione di poco meno di 5 ettari, insiste su di un banco di roccia calcarea, mentre più in profondità vi sono banchi di argilla del Bradano.

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Una balconata ottocentesca offre una  vista mozzafiato sul mar Piccolo..
Il suo nome Villa Peripato fa riferimento alla scuola peripatetica  aristotelica, di cui fu illustre esponente il filosofo e matematico tarantino Archita; il maestro teneva le sue lezioni passeggiando e discutendo insieme agli allievi.

Nella storia del paesaggio tarantino, il giardino è sempre inteso con finalità utili: alberi da frutto e soprattutto agrumeti ad uso esclusivo della famiglia proprietaria. Non fa eccezione giardino S. Antonio (l’attuale villa), di proprietà della nobile famiglia de Beaumont, che già alla fine del XVII secolo possiede fuori la Porta di Lecce, lungo l’antica strada di S. Lucia, due giardini coltivati con “frutti communi ed agrumi”, terreni seminati, vigneti di “uva longa” e, nel prospiciente Mar Piccolo, due sciaie di ostriche e cozze pelose.
Nel 1832 l’ultimo discendente della famiglia sposa la nobile Maddalena dei marchesi Bonelli di Barletta, protagonista della vita economica della Taranto di fine Ottocento, molto attiva nella gestione delle masserie di sua proprietà e molto attenta alla villa suburbana di S. Antonio. Secondo i desiderata della marchesa, la località perde la funzione di supporto alle attività agricole e diventa un raro esempio di residenza di villeggiatura. Rispondendo sempre più alla funzione di rappresentanza per la famiglia, lo spazio verde intorno alla casa (prospiciente l’antica strada S. Lucia) si presenta come un perfetto esempio di giardino eclettico tipico dell’Ottocento: ricco di piante ornamentali, intersecato da grandi viali fiancheggiati da alti alberi di pino e acacia, abbellito da siepi di viburno, chioschi formati da alberi piantati in circolo, rotonde di sedili in pietra e colonnine sormontate da vasi di fiori e statue, coffee house in muratura circondata da una gradinata, con volta e cupola in stile giapponese.
Alla morte della marchesa, nel 1906, il patrimonio passa al nipote Filippo Bonelli, il quale dal 1908 inizia una lunghissima trattativa con il Comune di Taranto per la vendita del giardino S. Antonio. Il sindaco Troilo vuole infatti realizzare una Villa comunale più bella e grande del giardino Garibaldi, fino a quel momento unico polmone verde della città. Nel 1909 affida all’ingegnere Cosimo Resta l’incarico di definire il valore della proprietà, che viene poi concessa in enfiteusi perpetua al Comune per 17.500 lire l’anno.
Nei primi anni la Villa rimane pressoché abbandonata: nel 1913 per contenere il terrapieno e dare una forma più regolare al giardino, viene sistemato un muro di cinta con ringhiera.
Nel 1932, in occasione di una parata militare nel golfo di Taranto, 350 operai lavorano per oltre un mese per ripulire e abbellire il giardino: si impiantano la pineta e due aiuole con un enorme fascio littorio al centro; in una piazzetta si colloca un busto di Leonardo da Vinci, proveniente da una nave omonima affondata in Mar Piccolo durante la Prima Guerra Mondiale; nei viali si collocano sedili e colonnine artistiche.
Nel 1933 viene estirpato un antico aranceto, sostituito dal teatro all’aperto La Pineta, poi trasformato in cinema; nel 1936, la recinzione in ferro viene “donata alla Patria”; l’anno successivo, la scalinata monumentale (1913) che conduce ad un lungo corridoio affacciato sul Mar Piccolo, viene abbattuta per fare posto al Circolo Ufficiali della Marina Militare; tra il 1944 e il 1945 gli anglo-americani installano una piscina in cemento; dopo il 1945, il grande piazzale viene adattato a pista di pattinaggio.

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50 anni di Pallavolo a Turi – di Vito Zita

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Foto in bianco e nero, un po’ sfocate, a volte ingiallite dal trascorrere del tempo; luoghi come la vecchia sala dell’ex convento delle Clarisse di piazza Curzio ( ora sala riunioni del polivalente), un’aula della vecchia scuola media di piazza Cisternino (ora utilizzata come sala – uffici della Asl), l’asfalto di Largo Pozzi o del piazzale d’ingresso della scuola elementare di via Chiarappa, le palestre di scuola media o dell’istituto Pertini e poi il palazzetto. Sono quelle foto, quei luoghi e i tanti volti di giovani e meno giovani a raccontare il mezzo secolo di pallavolo a Turi.
Un’avventura per molti entusiasmante, che iniziava nel lontano ’68 grazie ad alcuni studenti liceali ed universitari che si erano appassionati a questo sport nelle palestre delle loro scuole a Conversano, Putignano o Castellana. Si giocava allora all’aperto sull’asfalto di Largo Pozzi dove veniva fissata in modo davvero rudimentale la rete e tracciato il campo di gioco. Inizialmente erano sfide tra amici; nel ’69 grazie al Circolo Culturale, si formava la prima società ASP Turi partecipando al torneo organizzato in zona dal Centro Sportivo Italiano.
L’anno successivo Vito Zita, che già nel ’63 aveva partecipato ad un corso nazionale indetto dal Centro Sportivo Italiano per allenatore di volley ad Acerno nel salernitano ( sotto la guida dell’allenatore della nazionale italiana Franco Anderlini) e aveva così conseguito il patentino di allenatore, dava la propria disponibilità ad allenare quei ragazzi.


Il 1970 rappresenterà nella storia del volley turese un primo, importante momento di svolta; la squadra sarà iscritta al campionato di prima divisione regionale indetto dalla Fipav ( Federazione Italiana pallavolo).
Sono questi gli anni che vedono in campo giovani come Michele Resta, Saverio Chiarappa, Nino Marotti. Pinuccio D’Aprile, Stefano Orlandi (che in seguito sarà un validissimo dirigente e delegato allo sport nell’amministrazione comunale eletta nel ‘93), Leonardo Martinelli, Bruno Santoro e tanti altri che si possono riconoscere in alcune foto di quell’epoca.  Nei primissimi anni non si riusciva a vincere una partita e neanche un set, ma i sacrifici e la voglia di giocare non veniva mai meno.
Non solo non c’erano soldi, ma gli stessi giocatori contribuivano a montare la rete e a segnare il campo di gioco. Ai primi giocatori col passare del tempo si affiancavano altri studenti, ma i risultati non cambiavano di molto.
Un altro momento di rilievo nelle vicende della società Volley Turi lo si aveva nel ’73 quando dal Comune veniva data la possibilità di allenarsi e giocare nella palestra della scuola media.
Si intuiva che per poter fare il salto di qualità bisognava ripartire dai ragazzi più giovani della scuola media inferiore. Grazie alla disponibilità del preside e di Memmo De Carolis, professore di educazione fisica, veniva fatta una selezione di giovani di seconda e terza media; si partecipava così dopo mesi di duri allenamenti, nel ’74 ai primi giochi della gioventù vincendo la fase provinciale e perdendo a Sava nel tarantino solo in finale con l’Ugento, società già nota a livello nazionale.

Da quell’anno per la Volley Turi fu una continua escalation di risultati. Ai Vincenzo Di Pinto, diventato dopo grande allenatore, Pietro Cistulli, Mimmo Sabatelli, Tommaso Giannico, Angelo Orlandi, Raffaele Valentini, Franco De Tomaso, Pino Marinelli, Vito Sabino, Renzo Susca, già presenti in squadra dopo l’abbandono per motivi anagrafici e di studio del gruppetto iniziale, si aggiungevano così i giovanissimi Pino Susca, Claudio Balena, Peppino Saponara, Francesco Petroni, Vito Simone, Donato Rossi, Enzo Susca, Tony Romei, Stefano Palmisano, Angelo Susca che permettevano alla allora “Assicurazioni Generali Volley Turi”, presidente Giacomo Arrè, di vincere per anni i campionati provinciali e regionali allievi, ragazzi e juniores partecipando con alterna fortuna alle finali interregionali di Pescara e Ortona. Memorabile il primo trofeo regionale “Under 17“ vinto nel ’75 nella nostra piccola palestra della scuola media, ,gremitissima di tifosi, contro la corazzata Taras Taranto. Fu una partita tiratissima vinta con il risultato di tre set ad uno (allora i set si vincevano a 15 punti e c’era il cambio palla).
Negli stessi anni la squadra maggiore, con l’innesto nel sestetto base dello schiacciatore di Triggiano Michele Lucinio ( giocatore che aveva militato in serie superiori con il Cus Torino e la Fides Triggiano e da poco sposatosi a Turi ), iniziava a vincere e a passare ogni anno di categoria. Nel frattempo veniva meno per motivi di lavoro l’esperienza in panchina dell’allenatore Vito Zita e le redini venivano prese dall’allora studente Isef ( istituto superiore di educazione fisica) Vincenzo Di Pinto . In quegli anni, dopo l’improvvisa scomparsa dello stimato Giacomo Arrè, la presidenza passava nelle mani di Stefanino Rossi (noto imprenditore impegnato da anni nel restauro di beni architettonici e storici sparsi nel meridione d’Italia e da poco scomparso), che negli anni precedenti aveva guidato anche la squadra di calcio “Unione Sportiva Turi” portandola in prima divisione.
La lunga serie di vittorie si concludeva nel campionato ’79-’80 con la promozione in serie C nazionale al termine dei play-off disputati al palazzetto di Mottola, un exploit incredibile che nel campo maschile proiettava La Volley Turi a confrontarsi allora con squadre di città come Pescara, Napoli, Isernia, Brindisi. Eppure quella vittoria decretava negli anni seguenti il declino della società e poi l’oblio e ciò perché Turi non aveva un palazzetto idoneo, omologato per affrontare un campionato nazionale di serie C. E così per il campionato di C il Volley Turi era costretto a giocare nel palazzetto di Sammichele con un campo di gioco in cemento terminando quel campionato ’80-’81 con la retrocessione.
Intanto, dopo un primissimo tentativo portato avanti da Vito Zita nei primi anni ’70 di fondare a Turi una squadra femminile (ragazze allora quasi tutte studentesse, ora qualcuna è già nonna) nell’82,grazie a Stefano Orlandi e Michele Lucinio, sempre legatissimi alla pallavolo, veniva per la prima volta iscritta alla Fipav una squadra femminile di volley, l’Associazione Sportiva Pallavollo Turi.
Dopo il primo gruppo di giocatrici capitanato da Liliana Savino, dall’89 si ricominciava praticamente da zero con le ragazze del settore giovanile, disputando il campionato di Terza Divisione con in panchina Mimmo Sabatelli e Franco Palmisano e con Giovanna Colapietro, unica giocatrice
rimasta del vecchio gruppo. Sono poi seguiti due, tre anni tra la Seconda e la Prima Divisione, fino al 1993 quando Stefano Orlandi, eletto Consigliere Comunale, lasciava la società ad Antonio Gasparro, nel frattempo avvicinatosi al movimento assieme ad un gruppo di giovani dirigenti: Daniele Marotta, Raffaele Tardi, Piero Catucci, Paolo Di Bari, Matteo Daddato, Gianni Logrillo, Raffale Tardi jr., Modesto Dell’Aera, Francesco Caracciolo e altri, coinvolti già da un paio di anni nel progetto pallavolo.
Con Antonio Gasparro eletto Presidente l’A.S.P. Turi proseguiva negli anni il discorso al femminile avviato da Stefano Orlandi riuscendo a centrare la promozione in serie D, nella stagione ‘96-’97; dopo soli due anni si aveva la storica promozione in C,  inanellando ben 21 successi consecutivi con in panchina Vito Tarulli e in campo giocatrici come Giovanna Colapietro, Angela Lerede, Sandra Spinelli, ma anche atlete del calibro di Eliana Topputi e le castellanesi Stefania Mastrangelo e Annalisa Tedeschi.
Dopo 5 anni di fila in serie C, nel 2004 arrivava purtroppo la retrocessione in D, immediatamente cancellata, però, l’anno seguente con il ritorno trionfale nella serie superiore sotto la guida del tecnico turese Graziano Coppi e con Leonora Di Ciolla capitano. Con la nascita dell’Asd Volley Turi e la prima annata in collaborazione con il Noicattaro, nella stagione 2009/10 finalmente la promozione in B2 conquistata sul campo al termine degli spareggi play off a Noci con Raffaele Tardi presidente della Volley Turi e Pasquale Moramarco in panchina.
Seguivano cinque tornei consecutivi in B2 conclusi tutti con la salvezza e con il settimo posto raggiunto del 2012-13 con Giacomo Iacovazzi, divenuto nel frattempo nuovo presidente della Robur Volley Turi affiancato sempre da Raffaele Tardi come dirigente ed in panchina prima
Moramarco e poi Piero Acquaviva con Stefania Topputi e Mavi Raguso in campo come capitane. Purtroppo avveniva nel maggio 2015 la retrocessione in C che portava allo scioglimento della Robur Volley.
Dalla stagione 2015- 2016 la squadra femminile tornava ad essere gestita dalla stessa società della maschile partecipando a tre campionati di Prima Divisione, culminati con la promozione in serie D del maggio 2018 con in panchina mister Francesco Savino e il conseguente sesto posto della stagione appena trascorsa.
Ritornando sul fronte maschile, invece, dopo gli anni della presidenza di Stefano Rossi prendevano le redini della società dapprima Vito Sabino e subito dopo l’imprenditore Tonio D’Addabbo con la squadra che vivacchiava in serie D e poi nelle serie inferiori fino a quando la società non si
iscriveva più ad alcun campionato.

Si aveva una svolta nell’ottobre del 1994 quando lo stesso gruppo di dirigenti presieduto da Antonio Gasparro ricostruiva la squadra in buona parte costituita dagli stessi giovani turesi che si
erano avvicinati da qualche anno alla società. Subito al primo tentativo in Terza Divisione arrivava la promozione in Seconda, con Nicola Cinquepalmi in panchina e Lello Fortunato, capitano in campo, assieme a Gianni Mazzone, gli unici della vecchia guardia e con la Fimer di Angelo Orlandi, sponsor ufficiale per alcuni anni. Senza soste è proceduta poi la scalata in Prima Divisione e l’anno seguente nel campionato regionale di serie D, dove l’A.S.P. Turi, capitanata da Raffaele Tardi junior, vi
rimaneva solo per due stagioni; nel ’99, infatti, vinceva il campionato e tornava in serie C.
Dopo 5 tornei di serie C, durante i quali la panchina del Turi passava da Cinquepalmi a Danilo Paglialunga, nella stagione 2002/03 Villa Menelao diveniva il nuovo sponsor dell’A.S.P. Turi e l’annata seguente arrivava la storica accoppiata Coppa Puglia e promozione in B2, con la
splendida vittoria e festa promozione del 3 aprile 2004 con il Cassano all’ITC “Pertini” alla presenza di circa 600 tifosi e con protagonista il marocchino Noureddine El Moudden su tutti.

Seguivano cinque campionati di transizione di B2 con Michele Giannini diventato nuovo capitano e l’arrivo a Turi del “mitico” Henry Rodriguez, giocatore di grosso spessore tecnico che aveva militato nel Gioia del Colle in A1 qualche anno prima.
Nel luglio 2009, l’ASD Pallavolo Turi entrava ufficialmente nella storia centrando l’obiettivo del ripescaggio in B1, traguardo tanto ambito che ci riportava indietro nel tempo,
al campionato del 1980-’81 che allora era di serie C. Un premio ampiamente meritato da tutte le componenti della società presieduta da anni ormai da Antonio Gasparro e dal vice e consigliere provinciale Fipav Daniele Marotta, dal direttore sportivo Leo Spinelli, dal team manager
Stefano Dell’Aera, dall’addetto stampa Domenico D’Aprile e da quei dirigenti e collaboratori che sono stati pure loro sostegno e protagonisti di questo fantastico traguardo assieme alla decennale collaborazione di Michele Boccardi con la sponsorizzazione Villa Menelao. Il grande approdo in B1 si coronava nel campionato successivo con lo splendido terzo posto firmato Marcello Bruno, Luca Lo Re e company e la partecipazione ai play-off per l’A2, in quel di Correggio di Reggio Emilia. Anche questi momenti di grande volley che resteranno per sempre nella storia del volley turese.
Poi il ridimensionamento in serie C, il passaggio di consegne alla presidenza da Antonio Gasparro a Daniele Marotta e subito si aveva in rimonta la vittoria del massimo torneo regionale e il riapprodo in serie B2.

Causa la crisi economica dal 2012 si tornava a disputare la serie D per quattro tornei di fila con Domenico D’Aprile per tanti anni sempre vicino alla squadra, che veniva eletto presidente e
Daniele Marotta direttore generale. Si tornava in serie C nella stagione 2016/17 con Pasquale
Losito in panchina e Alberto Colapietro a giocare in campo, ormai indiscusso capitano, conquistando la salvezza nella stagione seguente con mister Pasquale Moramarco ritornato ad allenare a Turi questa volta con la squadra maschile.
Poi l’apoteosi di questi ultimi due anni. Con l’avvento di mister Vito Difino in panchina e grazie
all’apporto fondamentale dell’azienda Arrè Formaggi di Mimmo e Mara Arrè ( che già da anni davano il loro contributo e sostegno economico alla società) nelle ultime due annate l’ASD sfiorava nel 2018 la promozione, giungendo fino alla finale play off persa col Cerignola), rendendosi poi protagonista assoluta in quest’ultima annata vincendo sia la Coppa Puglia a Grottaglie e soprattutto il campionato, superando nella doppia finale il Molfetta, tornando così a calcare i campi nazionali della serie B .
Mezzo secolo di storia di volley a Turi, a partire da quel fatidico primo campionato Fipav del 1970.
Cinquant’anni di volley che vanno ricordati e che nel prossimo anno andrebbero degnamente festeggiati con grandi ed importanti manifestazioni sportive.

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XXIX SAGRA CILIEGIA FERROVIA – Turi 2019

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XXIX Sagra

La Sagra è stata organizzata dall’Associazione “In Piazza” presieduta da Livio Lerede, con una settimana di ritardo per colpa delle condizioni avverse del tempo che ha compromesso il raccolto delle ciliege primizie (bigarreau e giorgia).

La ciliegia Ferrovia ha resistito permettendo un raccolto pur non eccellente per qualità e quantità. La festa è stata organizzata quest’anno per tre giorni consecutivi: 7-8 e 9.

Il venerdì dopo la Parata della Fanfara del 7° Reggimento Bersaglieri di Altamura e la Sfilata gruppo musicale “Guarda che Banda” è avvenuta  la Cerimonia d’inaugurazione alla presenza del neo Sindaco dott.ssa Tina Resta con il Consiglio Comunale e delle autorità, tra cui Sindaci dei Comuni limitrofi, militari e religiose

E’ seguita l’Apertura degli spazi espositivi di aziende cerasicole e l’apertura della rassegna enogastronomici “Eccellenze di Puglia” – “Puglia Wine Festival”

Per il terzo anno consecutivo la locomotiva RossoFerrovia animerà le strade della città e sarà parte integrante della sagra, che ormai la riconosce come elemento distintivo. Lunga circa 7 metri e realizzata dall’artigiano turese Beppe Coppi in occasione della 27^ edizione, l’opera rappresenta l’antico mezzo di locomozione che, primo fra tutti, consentì agli agricoltori turesi di esportare la varietà regina del sud est barese.

L’evento colorerà le vie centrali della città, piazza Silvio Orlandi, via Sedile, via XX settembre, piazza Pertini, via Gramsci, via Antonio Orlandi, largo Pozzi, piazza San Giovanni e piazza Moro proprio nel periodo centrale della raccolta.

All’interno della manifestazione viene dato spazio anche alla formazione e all’informazione degli operatori. In programma, infatti, il seminario informativo “Epidemia Xylella – Prevenzione e Contrasto”  e la rassegna enogastronomica “Eccellenze di Puglia – Wine Music Festival”.

Saranno sempre al centro dell’attenzione gli spettacoli che faranno da cornice: l’esibizione dei comico-cabarettistico by Made in Sud, l’estemporanea di pittura “Rosso Ferrovia”, il venerdì danzante “Nostalgia ‘90”, gli spettacoli musicali  di Conturband, Junior Band, Piripicchio & Sciaraball e Skanderground e la novità rappresentata dal primo trofeo regionale di Pesistica Olimpica “Turi Città della Ciliegia Ferrovia”.S

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Appunti di viaggio – Sevilla

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L’Andalusìa è una delle diciassette comunità autonome della Spagna. È composta da otto province:Almería,Cadice,Huelva,Granada, Cordoba,Jaén,Málaga e Siviglia, dove si trova il capoluogo della comunità autonoma dell’Andalusia.

È la più popolata comunità autonoma della Spagna con 8403350 abitanti (2017) e la seconda più estesa, il che unito alla sua storia e alla sua cultura le conferiscono un peso piuttosto significativo all’interno della Spagna. Situata nel sud-ovest dell’Europa, è delimitata a ovest dalla Repubblica del Portogallo a sud dall’Oceano Atlantico, dal Mar Mediterraneo(Mare di Alboráne dal territorio d’oltremare britannico diGibilterra), a nord dall’Estremadura e dallaCastiglia-La Mancia e a est dalla Comunità Autonoma di Murcia. (da Wikipedia)

L’Andalusia o meglio Siviglia era un progetto accarezzato da tempo; avevo pensato alla Settimana Santa poi alle Ferie d’Avril ed infine ad una vacanza, comunque in Ottobre; alcune esigenze mi hanno indotto a partire prima, alla fine di Settembre.

Con 6 giorni a disposizione ho cercato di organizzarmi per bene; prima il volo diretto con Ryanair e poi l’albergo (con Booking) in largo anticipo. Ho corso il rischio di non partire per uno sciopero del personale di volo che per fortuna si è tenuto 4 gg dopo la partenza.

A questo punto con gli amici di Viaggio abbiamo concordato sull’acquisto anticipato di biglietti per Cordova e Granada.

Dal nostro albergo, il Catalonia ispalis situato decentrato sulla Avenida Andalusia, con linee urbane vicine ed efficienti, raggiungevamo il centro città.

La prima visita, dopo un percorso di prova, è stata la stupenda chiesa barocca del San Salvator, dove abbiamo acquistato i biglietti validi anche per la Cattedrale. Emozione e stupore davanti a tanta grandiosità, spettacolarità e bravura degli ebanisti e pittori che hanno realizzato retabli luccicanti d’oro. Subito dopo, siamo sempre nel centro storico della città, Santa Cruz, siamo entrati nella Cattedrale, la seconda più grande della cristianità e saliti sulla Giralda minareto trasformata in torre campanaria, da dove la vista spazia altissima sulla città

Un altro giorno è stato la volta dell’Alcazar che una guida in italiano, Sergio, ci ha permesso di apprezzare, evitando la lunga fila di attesa.

Abbiamo ammirato la scenografica e ricca di spunti storici la Plaza de España, inaugurata nel 1929, una delle icone della città; un giro nell’adiacente parco Maria Luisa per ritemprare il corpo e la mente; poi, sul battello lungo il fiume Guadalquivir, per ammirare la città da un altra angolatura e passare sotto ponti vecchi e nuovi come quello dell’Armadillo, frutto dello studio dell’architetto Calatrave.

Un’altro giorno il Metropol Parasol, enorme struttura in legno a mò di funghi che copre una superficie di due piazze adiacenti; il Barrio Santa Cruz con le sue stradine strette che si allargano in caratteristiche plazas , un giro su un bus turistico per uno giro panoramico per i luoghi simboli della città. Le pause del “medio dia” erano l’occasione per gustare la cucina andalusa con i pescados e jamon serrano o iberico accompagnati da una caña, un calice di birra alla spina.

Il Museo delle Belle Arti, secondo per importanza in Spagna ci ha regalato immagini e capolavori di pittori spagnoli soprattutto e fiamminghi.

Un giorno interno ciascuno è stato dedicato per Cordova e Granata; In pulmann col la compagnia ALSA, dopo tre ore di viaggio, siamo andati a visitare l’Alcazar de Los Reyes Catolicos e la maestosa Mezquita araba di Cordova, dove in un rincorrersi di archi e colonne bicrome è stata realizzata una chiesa cristiana, maestosa ma poco in sintonia con il resto.

Granada, è stata la destinazione di un altro giorno raggiunta con circa 2 ore in pulmann Avevamo prenotato l’ingresso all’Alhambra, dove dovevamo essere alle 17 per accedere agli appartamenti dei Nasdiri, unici; erano le 12 e abbiamo così potuto visitare sia la Cattedrale che la cappella reale. Prima di raggiungere il complesso dell’Alhambra ed i suoi fantastici giardini, l’ottava meraviglia del mondo moderno, abbiamo passeggiato lungo il Darro, torrente che separa il barrio Albaicin dal complesso dell’Alhambra, raggiungendo un punto in alto, il mirador de San Nicolas, dove con tanta gente si godeva della vista dell’Alhambra e della Sierra Nevada.

Gli ultimi giorni sono stati dedicati alla visita di quartiere della Macarena e alla chiesa omonima dove si trova la Madonna della Esperanza tanto venerato dai sivigliani; al Ricocillo di Rosita abbiamo pranzato con soddisfazione del palato. La sera, in occasione della Biennale del Flamenco, a teatro in poltrona al centro sul paraiso per apprezzare la musica malinconica e la danza gitana di Ana Morales – sine permiso, che reinterpreta con moduli e registri innovativi lo spirito andaluso.

Simboli ricorrenti dappertutto: la Madonna, il Cristo e gli emblemi araldici dei re di Spagna, che dopo la reconquista e la scoperta dell’America da parte di Cristobal Colombo, riempirono le città di chiese e monumenti, ricche di opere d’arte, per affermare la loro potenza, che sotto Carlo V raggiunse il culmine.

La cordialità dei sivigliani è calda come il clima; la mattina spesso sopportabile precedeva un mezzogiorno caldo con punte di 36°; i bus cittadini sempre affollati sono dotati di aria condizionata, molte strade del centro, non molto larghe avevano dei teli che univano le opposte costruzioni per riparare dal sole i passanti, un ponte sul Guadalquivir, la cui sponda sinistra si anima la sera lungo il “paseo de las delicias”, ospita grandi parasoli.

Giardini e aiuole ben tenuti, piante enormi di ficus che mostrano con ostentazione le loro robuste radici, bar, rincocillos, taberne sempre pieni di sivigliani e turisti per un desayuno o una tapas.

In conclusione un breve e soddisfacente tuffo nella città ospitale di Sevilla.

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Giubileo per Sant’Oronzo (aggiornato)

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reliquia S Oronzo - costola

teca contenente una tibia di Sant’Oronzo di Lecce

Papa Francesco ha concesso l’indulgenza plenaria e la possibilità di celebrare il giubileo oronziano in memoria dei 1950 anni dal martirio di Sant’Oronzo, patrono di Turi, oltre Lecce, Ostuni, Botrugno ed altre città leccesi, che ogni anno celebrano il martire dal 25 giorno della sua decapitazione al 28 agosto

L’anno giubilare ha avuto inizio ufficialmente il 3 dicembre con un pellegrinaggio dalla Chiesa madre sino alla grotta, ove oggi sorge una chiesa che noi turesi chiamiamo «cappellone».

L’anno giubilare oronziano si concluderà il 28 ottobre 2018. Sono stati organizzati una serie di eventi fino ad tale data, con convegni, dibattiti e celebrazioni religiose con presenze assai significative.

Nel 2018 saranno, dunque, 1950 anni dal martirio di Sant’Oronzo, avvenuto a Lecce il 26 agosto del 68 dopo Cristo mediante decapitazione. Il Santo, dunque, è uno dei primi martiri della chiesa cattolica. Nei documenti storici in possesso dell’arciprete don Giovanni Amodio si ripercorre l’intero cammino di vita spirituale del Santo e le vicende che hanno caratterizzato i secoli seguenti. Secondo una testimonianza del vescovo di Vico Equense, Paolo Regio, risalente al 1592, tutto ha inizio quando l’apostolo Paolo da Corinto invia Giusto sul litorale leccese per la predicazione. Un giovane di famiglia patrizia, Oronzo, si converte e viene battezzato da Giusto. Da quel momento, la vita di Oronzo si trasforma e diventa un predicatore cristiano che riesce a convertire altre persone. Oronzo viene nominato vescovo di Lecce. Tuttavia, perseguitato dall’impero romano, è costretto a trovare rifugio in una grotta immersa in una fitta boscaglia proprio a Turi. In quella grotta predica ed amministra l’Eucaristia negli anni della persecuzione. All’alba del 26 agosto del 68, Giusto e Oronzo sono decapitati dai soldati romani dell’imperatore Nerone.
Nel capoluogo salentino sono sorte due chiese dedicate a San Giusto e Sant’Oronzo.

Trascorrono i secoli. Tra i miracoli che i cristiani ricordano, c’è quello di avere interrotto una terribile siccità nel 1627, proprio il giorno della sua morte, il 26 agosto. Nel 1726, a Turi un religioso, Frà Tommaso da Carbonara, ha la visione del Santo, proprio nella sacra grotta turese, lungo la via per Rutigliano. Il Santo gli ordina di trasformare quel luogo nella sua casa, portando una croce. Da allora, ogni anno la sera del 25 agosto ci si reca in processione alla grotta e in quel luogo è stata eretta una chiesa.

L’ubicazione delle reliquie di Sant’Oronzo, per tanti secoli, è stata avvolta da un alone di mistero. Sono state avanzate molteplici ipotesi dagli agiografi e storici del santo vescovo martire, che si sono succeduti via via nel tempo. L’ ipotesi la più accreditata era di Mons. Protopapa che scrive: «Il culto di Sant’Oronzo è vivissimo fin dall’alto Medio Evo nella Dalmazia» ed a Zara si conserva il capo di Sant’Oronzo.
Mons. Protopapa aggiunge: «Nel 1091 Sergio, giudice di Zara, fa eseguire una cassetta d’argento, adorna di figure, vi ripone il capo del santo e la dona alla chiesa Cattedrale di S. Anastasia» e tuttora fa parte del tesoro di quella stessa Cattedrale.

Ma…..una scoperta ci ha portato un’immagine di Sant’Oronzo nuova di zecca: la prima ufficiale di cui possiamo disporre.  Altre sorprese potrebbero arrivare dalle analisi, scientifiche ed ecclesiastiche, cui potrebbero essere sottoposte le reliquie di Nona, che è arrivata a Turi, con trasporto eccezionale via terra scortato prima dalla Polizia, poi dalla Benemerita, e che verranno accolte nella Grotta di Sant’Oronzo e poi portate in processione fino alla chiesa matrice di Turi, dove rimarranno fino al 27 agosto.

Una storia che parte da Turi, in provincia di Bari, approda a Zara, città della Croazia, e torna a Turi, dove arriva una reliquia, una tibia,  di Sant’Oronzo, contenuta in un cofanetto ligneo.
Una delegazione di Turi, tra cui l’arciprete Giovanni Amodio, il prof. Aldo Buonaccino, il carabiniere Stefano De Carolis, portatasi a Zara, è tornata in Italia, con molti dubbi al riguardo:
una scoperta archeologica e agiografica rimescola le carte su quanto conosciuto in materia, puntualizzando come Sant’Oronzo patrono di Lecce sia esistito davvero e che forse proprio la distruzione di Lecce, nel 1150, ad opera di Guglielmo il Malo avrebbe causato la “fuga” delle reliquie del Santo verso luoghi più sicuri..

Comunque il cranio conservato in una teca nella chiesa di San Anastasia a Zara non è del Vescovo di Lecce ma di un Oronzo martirizzato a Valenza assieme a Vincenzo e Vittore ; una tibia conservata in un cofanetto in legno ( integro dall’origine rivestito di lamine d’argento dorato di cm. 9,5 x 42 x 8,5) presso la chiesa di S. Anselmo a Nin, a 15 Km da Zara, è stato portata a Turi l’11 agosto ed stata posta a venerazione dei fedeli e portata in processione di gala a mezzogiorno del 26; questa reliquia salvo smentita deve appartenere al vescovo leccese, nostro copatrono.

Il prof. Osvaldo Buonaccino per rendere utilità al dibattito storico e alla conoscenza delle nostre radici più profonde in occasione del Giubileo Oronziano, ha ripubblicato il saggio del 2007, aggiornato con nuove ipotesi e contributi, come quello di Donato Labate, sul pavimento in maiolica della Grotta di Turi; della medievista Mariapia Branchi, sul reliquiario di Zara; e con l’intervento del prof. Giorgio Otranto, fatto in occasione della presentazione del primo saggio.

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