
piazza cap. Colapietro il 2 Ottobre – Santi Angeli custodi

piazza cap. Colapietro il 2 Ottobre – Santi Angeli custodi
Vito D’Addiego (1842-1906)
del Cav. Stefano de Carolis
Aqquànne na’ppetève ‘mbeccè scève o Specièle
[Quando non sapeva come fare, andava dallo Speziale]
TURI- Il proverbio iniziale fa riferimento ai ‘carrettieri’ di un tempo, che trasportavano l’acqua con i traini, tirati dai cavalli o da muli. L’acqua era elemento vitale nella attività di un farmacista che preparava le medicine nella sua bottega. Tanto che per una farmacia era sempre preferibile avere una sede per la propria attività dotata di pozzo. Il carrettiere, dicevamo, quando guadagnava pochi soldi, faceva in modo che gli ‘avanzasse’ l’acqua nella botte e la portava allo Speziale. Faceva la ‘cresta’, in poche parole, a qualche fornitura già pagata, e vendeva allo Speziale, per proprio conto, quel poco d’acqua sottratta a chissà chi. E lo Speziale con l’acqua che conservava nella propria cisterna, ci faceva i ‘becchjìr ’volgarmente detti bicchieri, gli antichi medicinali.
La Farmacia Pignataro-Pàstina, situata nei locali sotto l’orologio dell’antico sedile, nel febbraio 1921, dopo un attentato terroristico in cui venne utilizzata la nitroglicerina , fu distrutta unitamente ad altri locali e abitazioni del largo Sedile. E, dopo tale tragico evento, trasferita al largo Marchesale, nei locali di proprietà del Marchese Ottavio Venusio, sul lato sinistro guardando l’uscita di Porta Nuova su via Putignano. Questa nuova licenza fu acquistata dal farmacista Peppino Pàstina, perché il dott. Pignataro, qualche anno dopo la guerra, lascia definitivamente Turi e va a dirigere la farmacia “Aurora”, di sua proprietà, nel Comune di Castellaneta. Farmacia che, a tutt’oggi, è diretta da un suo erede. Pignataro morirà nel 1932 all’età di 52 anni.
Negli anni ’20, a Turi, le farmacie si sono ridotte a due, in osservanza ad un R.D. del 10.04.1890 n.1617 art. 67 “il numero di farmacie in ciascun comune non debba essere maggiore al bisogno della popolazione, epperciò non potrà aprirsi una nova speziaria senza il permesso del CommissarioProtomedicale…”.
La farmacia del dott. Giuseppe Pàstina, verrà poi venduta nel 1956 al farmacista Pasquale Potenza, di Bari, il quale nel Dicembre 1971, a sua volta, la venderà, compresi gli eleganti ed antichi arredi dell’antica “farmacia del Sedile”, all’attuale proprietaria, la Dott.ssa Maria Giuliani di Bari, Farmacia di Porta Nuova.
Durante l’inedito lavoro di ricerca sulle farmacie a Turi, ho avuto il piacere di conoscere l’erede unico del farmacista Vito D’Aprile, il Prof. Oronzo D’Addabbo, turese di nascita, classe 1924, insegnante. Il Professore, durante la sua adolescenza, ha vissuto buona parte delle sue giornate, nella farmacia di suo zio Vito e della cara zia Palma D’Addabbo. Adottato dalle amorevoli cure dei due zii senza figli. I suoi ricordi sono nitidi e pieni di emozione. Ricordi incancellabili. Nella farmacia, lo zio veniva aiutato da tre ragazzi ‘inservienti’: i turesi Ciccillo Camposeo, Pasqualino Carlone e Tommaso Grisorio (la madre di quest’ultimi due Camposeo Maria, era la donna di servizio di casa D’Aprile). Le loro mansioni erano quelle di tenere sempre puliti gli ambienti e, soprattutto, di tirare l’acqua dalla cisterna che si trovava all’interno. Prendevano i vasi da farmacia dagli scaffali, e li passavano al farmacista che preparava i medicamenti. Il ‘maestro Oronzo’ ricorda ancora che zio Vito preparava le tante “cartelle dei medicinali” prescritte dai medici, e i vari sciroppi che mesceva in bottega con tanta competenza. Ricorda perfettamente gli antichi arredi della farmacia, prima dipinti di giallo e bianco, e poi dipinti di colore bianco a fili dorati. Gli stessi contenevano i tanti albarelli e vasi in maiolica di colore blu, giallo e bianco; i mortai di bronzo e di pietra; la vetreria, le bilance, il piccolo torchio per l’olio di ricino, i setacci e i vari recipienti di rame.
Una persona di fiducia di Turi, tale Sebastiano (Vastiène), con il traino, di buon ora, si recava settimanalmente a ritirare le sostanze necessarie al dottore, dallo stabilimento “Carlo Erba” di Bari.
Il ricordo diventa triste, invece, quando alla mente torna l’arrivo dello zio in farmacia, seduto ad una sorta di triciclo, spinto a mano da uno dei tre ragazzi. Il dott. Vito D’Aprile, anni prima, era rimasto invalido dopo una accidentale caduta durante la ‘iàcche’, una di quelle battute di caccia notturna di un tempo. A suo merito, va ancora detto della piccola farmacia di sua proprietà, impiantata all’interno della Casa Penale di Turi, ad uso esclusivo dei carcerati. Si recava al carcere tutti i giorni dalle ore 11 alle ore 12, per dispensare i medicamenti necessari.
Il Cav. farmacista D’aprile Vito, ultimo erede di una dinastia di dottori farmacisti da più di cento anni, morirà all’età di 72 anni, il 21 febbraio 1946. E con lui morirà il ‘marchio’ di famiglia. La farmacia in via Maggiore Orlandi verrà acquistata prima dal dott. Dell’Erba, poi dal dott. Tonino Mastrolonardo, così come abbiamo già riferito nella puntata precedente.
La vecchia abitazione dei farmacisti D’Aprile era ubicata nel largo del Sedile (l’antica casa del canonico Gagliardi), mentre la villa di campagna, dove vivevano il dottor Vito con la moglie Palma, insieme al piccolo Oronzo, si trovava al confine con la proprietà del medico condotto, Adolfo Chiaia. La villa, una volta in estrema periferia, ancora visibile com’era – se pure integrata tra tante case nuove – anni fa venne venduta alla dolciaria di Turi, Ninetta Dragone.
Un’ultima annotazione di colore in fondo in fondo a questa Storia. Il dott. Vito D’Aprile, persona raffinata, nel 1934, in occasione del 100° anniversario di fondazione della sua farmacia (ANTICA FARMACIA D’APRILE), omaggiò tutti i suoi clienti con delle bottigliette da 100 ml. contenenti profumi straordinari, prodotti dalla ditta “ESPERIS” di Milano. Un’azienda fondata dal dott. Fayaud nel 1922, ancora oggi attiva nel capoluogo lombardo e famosa in tutto il mondo.
Tommaso Grisorio, nato a Minervino Murge il 26/03/1916, recentemente deceduto. Arzillo e lucido, in merito alla farmacia di Vito D’Aprile, mi ha raccontato: “Io sono uno di quei tre ragazzini ‘inservienti’. Sono stato alle dipendenze di don Vito, il farmacista, negli anni 1929-30. Dopo di me ci andò un mio fratellastro, Pasqualino Carlone, classe 1919, insieme a nostro cugino Ciccillo Camposeo. Il mio compito era quello di tenere pulita la farmacia, e salivo sopra una scala di legno a prendere i contenitori delle medicine in polvere che passavo a Don Vito. Inoltre lo accompagnavo con il calesse tirato da un asinello o spingendo il suo triciclo da invalido, dalla sua villa di campagna fino alla farmacia di via San Giovanni. Per evitare di spingere il triciclo, anche perché durante il percorso c’era una piccola salita, di nascosto gli bucavo le ruote, così ero costretto a prendere il calesse con l’asino. Don Vito si arrabbiava, ma lui era molto buono e bravo. La paga che mi dava, era di 60 lire al mese, qualche volta mi rimproverava, perché non avevo pulito bene il bancone, ed io gli rispondevo dicendogli che non riuscivo a pulirlo perché sopra c’erano molte monetine, e lui mi rispondeva: “Tommaso, mi fido di te, pulisci lo stesso.
postato da CORRIERE PUGLIA e LUCANIA
1943 – Stefano Colapinto e la sua famiglia
Stefano Colapinto e Chiarina
Stefano Colapinto ha 85 anni. Non ha retto governi, non è andato sulla luna, non ha addestrato i Mille ma – cosa non minore – ha guidato le allegrie imberbi di tantissime generazioni turesi tra lupini salati di fresco, irriducibili pestìzze, castagne ‘o prèvete, giùgge, cigòmme, tick-e-ttick, trick-e-ttrack, lacci di liquirizie, gazzòse, zìppe dòlge, ràscka-ràscke e parapàlle.
Il suo nome di battaglia è Stèfene d’i caramèlle. E noi, ex soldatini ignari con i calzoncini corti, e giusto giusto cinque lire in tasca, ce lo ricordiamo benissimo questo piccolo generale odoroso. E con tantissimo piacere gli siamo riconoscenti e vogliamo che altri sappiano, se ne ricordino e non lo dimentichino domani.
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disegno dello scultore leccese Aprile Andrea
STORIA dell’antico edificio del ‘Sedile’ di TURI
di Stefano de Carolis
Il palazzo del ‘seggio’, o ‘sedile’, era un edificio ubicato all’interno delle mura cittadine, che gestiva i vari aspetti della vita di un paese; era il cuore pulsante delle questioni politiche ed amministrative di una comunità. Nel sedile, gli eletti erano, solitamente, appartenenti a classi agiate, di origine nobile o borghese, i quali coadiuvavano il feudatario nell’amministrazione del paese. La convocazione all’assemblea avveniva al suono delle campane poste sulla sommità dell’edificio.
Tra le varie vicissitudini, l’operato dei ‘sedili’ si estinse intorno al XIX° sec. per poi trasfondersi nel moderno Municipio, sotto la spinta della presenza napoleonica in Italia. Il termine ‘sedile’, tuttavia, sopravvisse ancora per molto tempo, come identificativo convenzionale, soprattutto, di una funzione riconosciuta, ereditata da secoli passati. Il feudatario di Turi nel XVII° sec., era il Barone Francesco
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di Stefano de Carolis A Turi, nel Settecento, cita lo storico Giovanni Bruno, la famiglia Palmisano aveva il patronato dell’altare di S. Lorenzo, posto nella cappella in fondo alla navata destra della Chiesa Madre; dal XV sec. esistevano ” beneficii fundati sub titulo S. Nicolai intra Turi per Ioannem Dominicum Palmisano nella chiesa di S. Nicola sita alla contrada del Castello” All’inizio del Settecento, tra i maggiorenti locali, viveva Nicolo’ Palmisano, fisico (1) di Turi , “chierico maggiore” (2) , nato nel 1676; aveva sposato donna Cornelia de Ritola, nata nel 1681; ; dal matrimonio nacquero cinque figli, tre maschi e due donne, tutti votati alla vita monastica e sacerdotale. Il figlio Giuseppe divenne sacerdote presso la Reale Chiesa di San Nicola di Bari; mentre suo fratello Donato classe 1718, era chierico presso la Collegiata di Turi; il minore dei fratelli, Stanislao, divenne sacerdote della “Compagnia di Gesù” . Le due figlie erano rispettivamente Paolina, monaca presso il monastero di Santa Maria della Purita’ del Comune di Modugno detto delle “Cappuccinelle” (3), e Giuseppa Gaetana suora presso il Monastero delle Clarisse di Turi (1738).
La famiglia Palmisano era benestante ed abitava in una casa signorile, situata nei pressi del “Sedile di Turi”, e precisamente “sopra gli archi detti di Palmisano” attuale via arco Palmisano.
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(1 in quel periodo ci sono 5 fisici (medici)
(2) Dal latino tardo clericus, in italiano ” chierico” designa una persona che appartiene al clero (dal greco kleros , latino clerus: “parte scelta”; distinta da laikos: in greco “popolo comune”, “profano”): all’inizio del cristianesimo con il termine “clero” si designava tutto il popolo cristiano, il popolo eletto, il popolo di Dio; ma già nel III secolo la parola sta a indicare coloro che sono addetti al servizio del culto perché “parte” del Signore. Nel Medioevo, chierico si identificava spesso conliteratus: cioè chi conosceva il latino, dunque significava “colto” e “intellettuale”, “uomo dotto e istruito”. La condizione di chierico era l’unica che permettesse di coniugare occupazioni spirituali e culturali . Con la formazione delle università nel corso del XIII secolo lo statuto clericale è esteso a professori e studenti. Si diventava chierico anche senza intraprendere una carriera sacerdotale con la semplice “tonsura” (il taglio di alcune ciocche di capelli o della rasatura tonda centrale sulla nuca che prende per l’appunto il nome di “chierica”: un rito che precede gli ordini sacri e diventa necessario per riceverli perché distingue dallo stato laico) e senza obblighi onerosi: non sempre veniva, ad esempio, richiesto il celibato , oppure ricevendo gli ordini minori (ostiario, lettore, esorcista, accolito) o quelli maggiori (suddiacono, diacono, sacerdote, prete e vescovo), per cui si distingue tra chierici minori e maggiori. La condizione di chierico dava diritto a ricoprire uffici ecclesiastici, incarichi che spesso potevano essere anche demandati a qualche vicario (come nel caso della responsabilità di una parrocchia), in cambio di godimento di beni, privilegi, rendite, sovvenzioni e, in particolare, di benefici ecclesiastici, spesso, soprattutto dal Trecento al Settecento, unico mezzo di sopravvivenza economica per molti letterati’chierici, a cominciare da Petrarca e alternativo al servizio a corte o al favore di qualche mecenate (http://www.italica.rai.it/)
(3) Il monastero di Santa Maria della Purità di Modugno (BA), fù fondato a metà del sec.XVII; nella relazione del 1702 dell’Arcivescovo di Bari Muzio Gaeta, il monastero e’ denominato comunemente delle “Cappuccinelle”. Esso seguì le vicende delle leggi eversive del 1866, ma rimase abitazione delle monache fino al sec. XX.