G. De Donato Giannini

Dei tanti giovani turesi, che nella seconda metà dell’Ottocento furono educati ai grandi ideali del Risorgimento non si possono di­menticare Giuseppe Orlandi e Pietro De Do­nato Giannini, coetanei, uniti dapprima dall’ amicizia e in seguito da vincoli familiari (De Donato sposerà una sorella dell’Orlandi): due vite simili per diversi aspetti.

L’Orlandi era figlio di quel Vincenzo, di cui si è già detto, ed il De Donato era nipote  del medico Pietro De Donato, venuto a Turi da Polignano agli inizi del secolo, uno da “capi” della carboneria turese.

Frequentarono entrambi quella scuola di libertà che nella nostra provincia era il collegio di Conversano, negli anni che a capo del­la diocesi c’era il vescovo mons. Giuseppe  Maria Mucedola.

Ricordando quegli anni Pietro De Donato  scriverà: «Quante idealità, quanto amore  del­la famiglia, della grande e della piccola patria in ognuno di noi! La spinta era data da una schiera di insegnanti valorosi, contenti allora del titolo assai modesto di maestro, muta oggi nell’ altro più rumoroso di professore . (De Donato Giannini 1910).  Maestri che il vescovo Mucedola aveva fatto venire da ogni dove, avendo compreso che bisognava «svecchiare accortamente e un po’ per volta il Collegio» (De Donato Giannini 1910).

Alla fine delle Scuole Superiori i due amici si separarono: Vincenzo Orlandi accompagnò  il figlio Giuseppe a Napoli e lo sistemò n ­casa di Bruto Fabbricatore; Pietro De Donato partì per Pisa.  Entrambi, come era nei desideri dei loro genitori, desiderio comune a tutte le famiglie di possidenti perché allora servivano avvocati e giudici, iniziarono a studiare legge, che presto abbandonarono per intraprendere gli studi letterari, a loro più congeniali.

Appena laureati, Giuseppe Orlandi e Pie­tro De Donato si dedicarono all’insegnamen­to, che risulterà la principale occupazione, meglio sarebbe dire missione, della loro vita. Il primo si fermò a Santa Maria di Capua, nel casertano, dove rimase parecchi anni. Qui fondò e diresse un giornale battagliero, inte­ressato ai fatti politici, “La Protesta” e sposò la figlia del giudice Carlo Bussola, che, giova­nissima, al suo arrivo a Turi fu accolta dalla “cittadinanza plaudente”.

La vita gli riservò subito amare sorprese: gli morirono quattro figli, il fratello Raffaele e nel 1882 il padre. Dopo la morte di quest’ultimo spostò la sua sede d’insegnamento dapprima a Madda­loni, quindi a Teramo ed infine a Bari, dove non insegnerà più letteratura italiana ma sto­ria. A Bari prese viva parte ai fatti culturali e fu protagonista di molte iniziative. Onesto ed intransigente fu bersagliato da quanti mirava­no esclusivamente agli interessi personali. Ciò fu motivo per lui di profonda tristezza: «Per uomo siffatto la scuola era un rifugio. Nelle ore più difficili ritornando in mezzo ai giova­ni si ritemprava ai loro ardori … E quando il male cominciò a logorargli la fibra e a render­gli un po’ per volta impossibile il ritorno in mezzo ai suoi scolari vi ebbe dolore inconso­labile» (De Donato Giannini 1910). Quella malattia lo annienterà dopo tre an­ni di sofferenza. Morirà il primo luglio del 1909, all’età di 67 anni.

Di Giuseppe Orlandi restano alcune opere: un’inedita storia della letteratura italiana, al­cuni volumi di poesia ed altre cose; ma resta soprattutto la sua fede nella scuola.

Identico è l’amore per la scuola di Pietro De Donato, che aggiungerà al cognome del padre quello della madre Maria Giannini. Un amore che attribuiva grosse responsabilità al ruolo dell’insegnante, un ruolo insostituibile e determinante nella formazione dei futuri cit­tadini. «Che vi siano dei libri ben fatti sarà sempre un bene; che vi siano ottime leggi e regolamenti perfettissimi sarà sempre fortuna singolare; ma se mancheranno gli uomini tut­to questo benefizio di fortuna non varrà a nulla, come a nulla gioverà se in una officina mancandovi lo sperimentato e valente ope­raio, vi sarà dovizia di perfettissimi arnesi» (De Donato Giannini 1910).

Pietro De Donato iniziò ad insegnare al li­ceo di Matera, trasferendosi poi negli istituti tecnici di Messina, Forlì, Siena e Padova. La sua lunga carriera si chiuse nel 1911 a Foggia, preside dell’Istituto Tecnico “Giannone”. Eb­be rapporti epistolari con i protagonisti dell’Italia post-risorgimentale: Carlo Poerio, Giuseppe Massari, Giosuè Carducci, Nicolò Tommaseo, Massimo D’Azeglio. Quest’ultimo era il suo uomo politico ideale; a lui dedicò alcuni saggi: Massimo D’Azeglio e gli Italiani, Della vita e delle opere di Massimo D’Azeglio, Giusti e D’Azeglio. Col Tommaseo fu in contat­to dal 1864 al 1872. Le lettere che l’anziano pensatore manda al giovane docente sono ric­che di suggerimenti didattici e pedagogici.

Pietro De Donato era «nato educatore per platee più vaste delle aule scolastiche» (Pu­glie se 1995). Ne è un esempio il periodico quindicinale “La Donna”, che fonda e dirige nel 1868 per contribuire al «riscatto della don­na dal suo stato di inferiorità» (Pugliese 1995), convinto che «non può dare al figlio un’educazione da cittadino quella madre che vive ed ha la mente da serva» (Pugliese 1995).

Fu anche un buon poeta. A 20 anni aveva pubblicato a Pisa la sua opera prima Odi e Canti inediti, che fu accolta con favore. A que­sta seguirono Versi e Prose editi da Zanichelli a Bologna nel 1867, Gramina, nel 1891, Sicania nel 1904 e Ad limina pacis nel 1905.

Leggendo quei versi pare che egli abbia « trovato nella poesia la via d’uscita dai pro­pri recinti esistenziali» (Pugliese 1995).

Nato nel 1843, un anno dopo di Giuseppe Orlandi, morirà, tre anni dopo di quest’ulti­mo, nel 1912 a Roma, da dove la sua salma verrà trasportata in treno a Turi.

(Rino Valerio – vol. I “sulle tracce” – Centro Studi Storia e Cultura di Turi )