La cavallina e l’angioletto – storia d’amore e di morte

“ O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!

Egli ha lasciato un figlio giovinetto…

Tu tenesti nel cuore il tuo spavento”.

“ O cavallina, cavallina storna, ” che corresti tremante al riparo! Tu, con le grida!

Accadde che faticarono non poco per riportarla alla sua abituale dimora. Scalpitava e rifiutava di rifare il percorso inverso. Strani odori, voci. Pasquale era innamorato della sua bellezza e aveva organizzato per lei un incontro, auspicando che rimanesse incinta. La Signora Maria Lerede (classe1918), moglie di Pasquale Lestingi(classe 1910), muore al primo parto il 13 agosto 1939, “lasciando in vita un angioletto”(così dice l’epigrafe) che chiameranno: Vito Maria. Il bimbo è affidato ai nonni paterni fino all’età di due anni. La generosa e possente Carmela Cirilli si recava da loro per dare al bambino il latte dal suo seno. Gesto mai dimenticato. Pasquale sposa Lorenza Pedone (classe 1911) e dalla loro unione nascono: Maria, il 1941; Angela, il 1942. Abitano, prendendo con loro anche il piccolo Vito Maria, la masseria “Vito La Porta”(3 Km. da Turi), nelle terre del Marchese Venusio. Ha un amico che si chiama Nicola Angelillo, Sammichelino nato il 1930, che dal capodanno del 1941 a tutto il 1946, affidato da suo padre alle fatiche della masseria, cresce con lui: “Al genitore davano 50 lire al mese!”. Ricorda di aver visto crescere il piccolo Vito Maria fino al settimo anno di età. All’epoca era così. Poi, andò Oronzo Laruccia, di Vito Lorenzo e di Chiara De Michele, (nato il 1937). “Il ragazzo doveva imparare il mestiere”. I genitori di Oronzo Laruccia dissero a Vito (classe 1931), uno dei fratelli del piccolo Oronzo: ”vai alla masseria e porta tuo fratello in paese! ” La madre di Oronzo ci teneva particolarmente perché gradiva fargli fare una foto, visto che l’unica che aveva era stata fatta quando era piccino; “da quel fotografo che si mette nella villa”. Vito e Nicola(altro fratello di Oronzo) incontrano Pasquale Lestingi, a pochi passi dalla Chiesa di Santa Chiara e, dopo parole di scherzo, Pasquale usava dire: “uè poverjìedde!”, ricevono l’assicurazione che a portare Oronzo in paese avrebbe provveduto lui. Erano le ore 12 circa. A pranzo, il padre e la madre, non vedendo Oronzo, presero a rimproverare Vito per non aver obbedito. Nicola testimoniò che avevano avuto garanzia che avrebbe provveduto Pasquale a portarlo in paese. Vito, dopo pranzo, verso le ore 15, preso dallo scrupolo, si avviò verso Largo Pozzi con la bicicletta ma, quando imbocco la Via Vecchia Sammichele, avvertì una sensazione di fatica, qualcosa che gli impediva di andare avanti. Le giostre rumoreggiavano di già e la festa annunciava incontri, ammiccamenti e, poi, era da sfruttare tutta perché unica occasione per socializzare. La bicicletta tornò volando al suo posto. “Tanto di lì a poco avrebbe provveduto Pasquale”.

Accadde mercoledì 18 ottobre dell’anno 1950. Dalla masseria, percorrendo la strada interpoderale, si avviarono col calesse: Pasquale Lestingi, Lorenza Pedone, Maria Lestingi, Angela Lestingi e Oronzo Laruccia, diretti a Turi. A Vito Maria(11 anni) il padre disse: “Tu resta qui, io li accompagno a Largo Pozzi e ritorno!”. Era la festa di Sant’Oronzo d’ottobre. Partono e, al passaggio a livello incustodito del casello 30, quarto passaggio a livello partendo dalla stazione di Turi verso Sammichele, la littorina proveniente da Bari, silenziosa e velocissima, alle ore 16,40 li travolge: tutti. Il calesse aveva percorso un buon tratto di strada parallelo ai binari, ma il frastuono che genera il rullo delle ruote, il mantice alzato, decisero la sorte. Le stanghe si spezzarono, nell’impatto violento, e la cavallina storna, impaurita, briglie e stanghe penzolanti, raggiunse la vicina masseria e si rifugiò tremante sotto una capanna. La littorina arrestò la sua corsa dopo 100 metri e più. La piccola Angela, unica a dare segni di vita, fu portata all’ospedale di Turi dove morì alle ore 19,15. “Mamma!” Detto senza voce. “Mamma!”. Sulla littorina viaggiava don Peppino Contento. Tre angeli e due adulti travolti e scaraventati nel buio eterno. Vito Laruccia, trovandosi al Largo San Giovanni, vicino alla Caserma dei Carabinieri, sentiva parlare di un calesse e di un incidente. Pensò: “Madònne, lòore sònde!”, imbarazzatissimo, si precipitò a piedi sul posto, palpitante. Vito ricorda: ”mio padre si fece largo, c’erano i Carabinieri, e giunse sul corpo del figlio, che giaceva pancia e testa in giù ai bordi della strada, e lo baciò”. “Figlio!” “Lo portammo a casa”. Il tredicenne era alto un metro e sessanta. Il passaggio a livello era fornito dei prescritti segnali d’avvertimento. Giuseppe Camposeo, che abitava il casello con la sua famiglia, non era responsabile della custodia. “Attento, Pasquale!” “Ho l’orologio preciso e conosco gli orari dei treni!”, rispondeva sorridente all’amico Giuseppe. Giuseppe, ricompose il suo corpo. Sparso. Vito Laruccia dice: “aveva gli abiti da lavoro. Parte di lui, ’ndò còpre pènze. Il calesse, a pezzi. “Ecco l’orologio!”. “Ecco…” “Ecco Maria, Oronzo, Lorenza”. “E Angela?”. Vito Maria, è avvertito da Capone, dicono: “ il sordomuto”, che abitava la vicina masseria del Generale Emilio Coronati, marito della Husted, vedova dal 1934 del Marchese Venusio. Gesti orribili, rivolti ad un ragazzino. Un ragazzino che spesso andava a scuola a piedi e tornava la sera, col buio. Ti ricordi quando, spesso, il coniglio bianco che brucava l’erba nel buio, al tuo passaggio batteva con violenza il “culo” per terra e scappava? Ti spaventavi! Tanto. Alla notizia, un gelo avvolse il suo corpo. La madre di Oronzo, non smise mai di incolpare il figlio Vito. “Fortuna che mio fratello Nicola stava con me quando Pasquale disse che avrebbe provveduto lui!”. La malinconia scese col tramonto e avvolse con un manto gelido l’intero paese. I toni della festa calarono e, nella gente regnò; l’ansia, la curiosità, il dolore. Dicerie, giudizi, commenti acri. Leggenda: “La cavalla corre alla masseria, prende il piccolo Vito Maria e lo porta sul luogo della tragedia”. “O cavallina, cavallina storna: lo so, lo so, che tu l’amavi forte!” dico: con loro c’eri tu e la morte. La famiglia Lestingi, genitori e figli, in modo particolare Domenico; anche Antonio, Giuseppe e Luigi, sostennero ogni spesa. Chiesero al padre del piccolo Oronzo di quantificare perché volevano pagare i danni. Non accettò compensi. Un avvocato andò per convincerlo che poteva chiedere un grosso risarcimento. Rifiutò. Persona perbene, Vito Lorenzo Laruccia. Altrettanto corretti e stimatissimi in paese, per essere dei bravi e buoni datori di lavoro, i Lestingi. Le cinque bare, partendo dalla Chiesetta di San Rocco, erano attese nella Chiesa Madre. Il paese si mobilitò lungo tutto il percorso, partecipando al dolore con sincera commozione. Corone di fiori bianchi e rose. Rose rosa che sparsero colori e odori nell’aria cupa. Bambine e ragazze col velo bianco. Lamenti. Vito Maria, vivo per caso, si affida ai nonni, studia e fa carriera come sottufficiale della Guardia di Finanza. Oggi, in pensione, vive con moglie e figli. Lo so, lo so, quanto è difficile dimenticare! Lo so! Tanti auguri.

Vincenzo Pascalicchio