Restaurata la “Decollazione di Sant’Oronzo”
Il restauro a cura di Memmo De Carolis e Giovanni Gasparro
Rinasce la “Decollazione di Sant’Oronzo”
di Giovanni Lerede
Dopo il Crocifisso dei Francescani (vedi “il paese” n. 153/maggio 2007) ecco un’altra opera d’arte che rinasce grazie all’impegno del prof. Romano (Memmo) De Carolis.
Si tratta della Decollazione di Sant’Oronzo, un ex-voto in cartapesta e terracotta smaltata – in quest’ultimo materiale sono realizzati i volti, le mani, i piedi – vecchio quasi di un secolo. Un ex-voto che per lungo tempo abbiamo tutti potuto vedere collocato in una teca vicino ad uno dei quattro pilastroni interni della chiesa-santuario di Sant’Oronzo sopra la Grotta, poi spostato altrove durante i lavori di restauro del monumentale complesso. Ora, finalmente, ritorna nella sua “casa”, non più nell’originaria custodia ma in uno stipo a muro nella navata di sinistra, protetto da una solida vetrata in legno, realizzata dall’ebanista Giovanni Gasparro e decorata da De Carolis.
Il gruppo è una raffigurazione a tutto tondo del martirio del Santo Vescovo leccese. «E’ possibile – ipotizza De Carolis – che sia stato fatto realizzare a Lecce, a Napoli o in un altro posto, dalla vedova Carenza (il suo nome è in un cartiglio alla base, ndr) per ricordare il marito caduto durante la Prima Guerra o a devozione di Sant’Oronzo».
Quattro le figure che occupano la scena: a sinistra, un legionario romano a cavallo con accanto il boia, a dorso nudo e in buffi calzoni corti, il volto stranito, la mano che sguaina ancora la spada; sul ceppo, in primo piano, il capo sanguinante del Martire: pezzo di ottima fattura, il migliore di tutto il gruppo, dove l’anonimo artista ha saputo dare il meglio di sé soprattutto in quell’espressione che dà il senso vero della morte; sul terreno roccioso giace disteso il corpo inerme del Santo: mani legate dietro la schiena e una lunga tunica rosa che lascia intravvedere solo i piedi nudi; in alto, infine, l’Angelo messaggero di Dio, portatore della palma del martirio. In tutti i personaggi il restauratore ha rinvenuto un’anima in crine di cavallo, sulla quale è stata lavorata la cartapesta, realizzata con giornali napoletani datati, alcuni almeno, al 1910.
Fa da quinta scenografica al dramma sacro un paesaggio che possiamo definire naif: un albero in primo piano, edifici sullo sfondo e un cielo azzurrino avvolgente, il tutto ancorato ad una struttura in legno rifatta dagli abili restauratori, che regge, tramite staffe, tutte le figure.
La popolare raffigurazione – civettuoli i baffetti alla moda dei due personaggi sulla sinistra – è un significativo esempio di arte devozionale, tanto più importante perché è uno dei pochi ex voto o suppellettili del Santuario turese che si sono salvati dai furti e dalla distruzione.
Il prof. De Carolis, apprezzato artista del sacro, presidente dell’Associazione Bersaglieri “A. Pedrizzi” – sodalizio da qualche anno attivamente impegnato proprio nella custodia della monumentale chiesa oronziana sopra la Grotta – è intervenuto meticolosamente per sanare le parti danneggiate o addirittura mancanti; lo stesso ha, poi, con l’aiuto di Gasparro, rimontato la scena di sfondo sulla nuova struttura portante e in uno spazio più adeguato.
Un raffinato impegno che ha compreso anche il restauro della teca nella quale è conservata la testa di Sant’Oronzo, opera scultorea del 1903 eseguita da Giuseppe Palmisano, ora in bella mostra nella navata destra della stessa chiesa. Lavori che si sono potuti concretizzare anche grazie al sostegno economico del Lions Club di Conversano e all’aiuto di altre persone. Un prezioso servizio alla collettività in quanto ha permesso a questi documenti di storia religiosa di ritornare a parlare della devozione dei turesi per il nostro Santo Protettore.
Da “il paese” n. 173/febbraio-marzo 2009